sabato 2 luglio 2011

LIBIA:FERMIAMO IL MASSACRO

GIU’ LE MANI DALLA LIBIA


Da oltre due mesi il territorio libico è teatro dei bombardamenti della cosiddetta coalizione dei volenterosi, inizialmente formatasi nel quadro della risoluzione 1973 dell’Onu, ma immediatamente ricompattatasi sotto le più esplicite insegne della Nato. Questo passaggio di comando non è un evento da sottovalutare. Anzitutto, la risoluzione in esame aveva previsto l’imposizione di una no-fly zone sui cieli del territorio nazionale, volta ad impedire che la presidenza e il governo della Gran Jamāhīriyya di Libia popolare e socialista, proseguissero nella repressione degli insorti sollevatisi in alcuni distretti della Cirenaica. Questo provvedimento implicava come logica conseguenza militare, che potessero essere colpiti solo i principali luoghi di rifornimento aereo di Gheddafi. Tutto ciò, invece, è stato ampiamente superato, sin dalla prima notte di bombardamenti, durante la quale la marina statunitense ha sganciato ben 110 missili BGM-109 tomahawk, ossia ordigni da crociera progettati sin dai primi anni Settanta, che contengono una testata nucleare di tipo W-80, dotati di una potenza esplosiva originariamente compresa tra i 5 e i 150 kiloton. Per avere un’idea della versione per obiettivi di terra, è possibile osservarlo in questo video sperimentale:
Gà in quei primi giorni era chiaro che la coalizione atlantica (principalmente composta da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, col supporto di Norvegia, Italia, Qatar e Repubblica Ceca) stava intervenendo in maniera massiccia, oltrepassando le ragioni della missione stabilita in sede ONU. Per di più, dei simili ordigni o gli stessi missili tattici anti-carro e anti-radar AGM-65 Maverick eAGM-88 HARM tradizionalmente trasportati dai caccia F-16, non garantiscono una precisione di tiro assoluta, oltre al fatto che la dimensione simultanea delle guerre negli ultimi venti anni (soprattutto a partire dall’operazione Desert Storm in Iraq nel 1991) non concepisce più alcuna sequenzialità all’interno del teatro operativo, tanto più in una circostanza come quella libica, dove, in base alla risoluzione Onu, per ora, la discesa a terra non è consentita alle truppe della coalizione atlantica. Il confronto terrestre, dunque, al momento resta soltanto quello interno al Paese tra l’esercito regolare di Gheddafi e gli insorti e/o mercenari della Cirenaica, per altro già da tempo pesantemente armati da agenti stranieri, presumibilmente francesi, egiziani, americani e britannici. Tuttavia, questo vincolo non consente in alcun modo di considerare quella della Nato come una semplice operazione di sicurezza e di supporto. Il divieto di scendere a terra stabilito dalla risoluzione 1973, è stato semplicemente aggirato attraverso un accerchiamento aero-navale che stringe la Libia nella morsa di un confronto totalmente sproporzionato sia sul piano politico che su quello militare. Malgrado le considerazioni della classe dirigente italiana, non c’è alcun modo per indorare la pillola. La coalizione atlantica è in guerra e, con lei, l’Italia: il comando dell’operazione di sfondamento Odissey Dawn è stato coordinato presso la base di Capodichino, diversi cacciabombardieri in dotazione all’Esercito hanno partecipato alle missioni sui cieli della Libia e la Portaerei Garibaldi (dotata di lanciamissili, lanciasiluri e di una capacità di carico massima di 12 cacciabombardieri AV-8B) è tutt’ora impegnata al largo delle coste libiche nelle acque del Golfo della Sirte.
Ormai è evidente che:
-          La risoluzione Onu è stata oltrepassata e violata, anche alla luce delle nuove prove che hanno documentato la quasi completa inconsistenza dei principali capi d’imputazione contro Gheddafi (fosse comuni poi rivelatesi inesistenti, massacri mai filmati, bombardamenti sulla folla mai documentati ecc. …)
-          La Libia è vittima di un’ennesima aggressione della Nato, politicamente per nulla diversa da quella contro la Serbia nel 1999 e da quella contro l’Iraq nel 2003, per scopi totalmente geopolitici (approvvigionamento petrolifero e insediamento di un governo non ostile a Washington) e geo-strategici (espansione della sfera d’influenza della Nato, attraverso il comando Africom), volti al contenimento di potenze rivali nei fondamentale scenari del Vicino Oriente e del Mediterraneo.
-          L’Italia è a tutti gli effetti un membro della coalizione atlantica e sta svolgendo un ruolo attivo all’interno del teatro operativo in Libia.
Eppure, stavolta, a distanza di otto anni dall’avvio dello sciagurato intervento in Iraq, nessun movimento, partito o gruppo è riuscito ad alzare una voce forte e decisa contro questa aggressione imperialista, tanto più a sinistra e nel mondo tradizionalmente “pacifista”, dove si è sostenuta la linea imperialista e neo-colonialista imposta da Obama, da Cameron e da Sarkozy, e dove addirittura le opinioni puramente personali e umorali in merito a Gheddafi hanno prevalso su qualsiasi ragionamento strategico e politico a lungo termine. Preso atto del fallimento storico e politico di queste componenti della società civile, e dell’impossibilità per le ragioni anti-imperialiste di avere una seria rappresentanza all’interno di istituzioni e grandi organi di stampa, risulta opportuno utilizzare al meglio la rete e qualunque mezzo a disposizione per sensibilizzare la pubblica opinione nazionale e mobilitarne le coscienze, affinché sia possibile organizzare una manifestazione popolare unitaria, per chiedere l’immediato ritiro delle truppe italiane dalla missione in Libia e da tutte le missioni per conto della Nato e degli Stati Uniti d’America, e per chiedere le dimissioni del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, del Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, e del Ministro degli Esteri, Franco Frattini, in seguito alla gravissima violazione degli accordi bilaterali tra Italia e Libia, stabiliti nel 2008 all’interno del Trattato di Amicizia di Bengasi.

Per adesioni, lasciate un commento o scrivete, indicando generalità e proposte, all’indirizzo di posta elettronica: rivistastrategos@hotmail.it

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